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Venezia61: morte a Venezia.
SPOILERS: nella lettura del seguente articolo trovi parti rivelatorie di alcuni film presentati a Venezia.

A conclusione della 61a Mostra del Cinema di Venezia un dubbio ci coglie. Più che un dubbio è una sotterranea preoccupazione che ci prende fino a diventare una vera e propria sensazione di angoscia. Siamo ancora vivi o siamo entrati a far parte anche noi di quella torma di personaggi defunti o sospesi tra la vita e la morte o addirittura resuscitati?
E' un dubbio legittimo, credetemi. Perché a guardare con occhio clinico, oserei dire da statistico, molte delle opere presentate alla Mostra appena conclusa, ci si accorge che quello della morte e di tutti gli stadi precedenti ad essa - ma anche successivi - sembra essere l'ossessione principale dei molteplici cineasti partecipanti. E non è questione di razza o cultura o età. Indistintamente, che siano orientali o americani, bianchi o neri, giovani esordienti o veterani della macchina da presa, quello della grande consolatrice è il tema più trattato di questa 61a Mostra del Cinema.

Tutti i premi e vincitori
Il nostro "personalissimo" Pagellone

Iniziamo dai blockbuster presentati nei primi giorni. Muore in "Man on fire" il romantico personaggio interpretato da Denzel Washington il quale, non contento, in "The Manchurian Candidate" fa fuori con un sol colpo madre e figlio fresco di elezione alla carica di vice presidente degli Stati Uniti. In "Collateral" (Michael Mann) muore Tom Cruise, ma almeno qui se ne va il cattivo, seppur quasi simpatico. In "La damigella d'onore" (Claude Chabrol), la protagonista conserva nell'armadio il corpo di una ragazza da lei uccisa per gelosia, mentre J.M. Barrie, in "Finding Neverland", deve esorcizzare il triste destino della sua amata con un libro d'evasione come "Peter Pan".
Ma in fondo queste sono morti normali; sono morti che, una volta celebrato il funerale, se ne stanno buonini lì dove li hanno collocati, come "l'esploso" di "Remote access" o i "gasati" di "The world", e neanche si sono dovuti preoccupare del loro prossimo destino come la protagonista di "Agnese ed i suoi fratelli" o di "L'amore fatale".

Infatti molte delle pellicole presentate a Venezia sono frequentate da spiriti irrequieti, cadaveri agitati che continuano ad occuparsi delle loro cure terrene. Che dire, ad esempio, del cadavere errante di Stefano Accorsi che in "Ovunque sei" (Michele Placido) si aggira per le vie di Roma, prende l'autobus (a proposito, avrà pagato il biglietto?) e va a controllare se la moglie ha spento il gas? O dello spirito del marito di Nicole Kidman che in "Birth" (Jonh Grazer) si reincarna in moccioso di dieci anni? (A proposito, uno che è sposato con la Kidman è la tradisce merita giustamente di morire giovane e nemmeno inquadrato da vicino...)
In "P.S. - I love you" (Dylan Kidd) invece Laura Lynney si ostina a vedere in un suo studente una sua vecchia fiamma passata a miglior vita da oltre vent'anni e in "Vital" (Tsukamoto) macabramente Hiroshi scopre che il cadavere che sta sezionando è quello della sua fidanzata morta in un incidente stradale.
In "Delivery" (Nikos Panayotopoulos) lo spirito del protagonista dopo la sua morte si libra gaiamente su un Atene post olimpica...
"Donnie Darko", protagonista dell'omonimo film di Richard Kelly, rischia invece di morire due volte (d'altronde sono i rischi che si corrono frequentando due realtà parallele...), ed una, ovviamente gli tocca.
Ma il massimo, se tralasciamo i bagni di sangue alla "Izo", lo si raggiunge in "Les Revenants" (Robin Campillo). Un vero e proprio trionfo di cadaveri redivivi che si aggirano per le città e ritornano alle proprie case, dormono negli stessi letti, riprendono a lavorare nelle stesse azienda. Un'orgia tanatologica di dimensioni bibliche! Ridateci Zombie.

Concludiamo, infine, con i due film più premiati a Venezia che affrontano temi strettamente collegati con la morte. Ci riferiamo a "Mare Dentro" (Alejandro Amenabar), che tratta il problema dell'eutanasia e a "Vera Drake" (Mike Leigh) che racconta la storia di Vera che a fin di bene procurava aborti.

Sembra sfuggire a questo furore necrofilo solo Spike Lee con il suo "She hate me" un inno alla vita rappresentato dalle spermatiche prestazioni del protagonisti che alla fine del film conterà oltre 15 figli!

di Daniele Sesti & Valerio Salvi


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