Oliver Twist

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Roman Polanski: un passato una volta innominato...
Il regista rivive con Oliver Twist la sua storia di infanzia negata!

di Mauro Corso

È difficile immaginare l'angoscia, la paura di un bambino tra gli otto e i nove anni che, abbandonato a se stesso, si trova ad affrontare una realtà ostile in cui ogni istante della propria vita è una sfida, una lotta continua per la sopravvivenza. Questa non è la storia di Oliver Twist, ma un episodio cruciale della biografia di Roman Polanski. Nato a Parigi nel 1933 da genitori polacchi, nel 1941 viene fatto fuggire da suo padre dal ghetto di Cracovia nella speranza di sottrarlo a quel destino di morte chiamato Auschwitz. Il piccolo Roman non vedrà mai più la madre e ritroverà il padre solo diversi anni dopo. Durante quei durissimi anni viene affidato alle cure di uomini di buona volontà che riescono a salvare la vita del piccolo Roman non senza rischio personale, perché in Polonia, sotto l'occupazione nazista dare asilo ad ebrei era un azione punita con la morte. Polanski non ha mai parlato volentieri della propria infanzia negata e non di rado ha risposto in maniera anche estremamente aggressiva nei confronti di giornalisti che gli hanno rivolto domande in tal senso.


Ma negli ultimi tre qualcosa è cambiato. Infatti la recente attività di Polanski come regista ed attore sembra molto legata agli anni della sua infanzia e della sua giovinezza. Nel 2002 esce nelle sale "Il pianista", racconto della Shoah vista attraverso gli occhi del musicista Wladyslaw Szpilman, autore di canzoni molto popolari nella Polonia del dopoguerra. È la prima volta che Polanski si occupa della Shoah (meglio preferire il termine ebraico al troppo ambiguo "olocausto") in maniera così eclatante, con grazia e con un'importante messaggio di speranza sul ruolo salvifico dell'arte. Durante le riprese, effettuate come è noto proprio a Cracovia, Polanski ebbe modo di entrare di nuovo in contatto con una delle persone che gli avevano dato aiuto, salvandolo da morte certa. La scelta di Polanski di girare un film come "Il pianista" è tanto più significativa se consideriamo che l'opera d'esordio "Il coltello nell'acqua" è stato il primo film della cinematografia polacca del dopoguerra a non trattare il tema della seconda guerra mondiale.


Ma il 2002 è anche l'anno dell'uscita nelle sale di un film che non abbiamo potuto vedere in Italia, "La Vendetta", diretto da Andrzej Wajda, il regista simbolo del cinema polacco del dopoguerra, autore di pellicole come "Cenere e diamanti", "L'uomo di marmo" e "Danton". Wajda ha assistito alla prima di gala di Oliver Twist in Polonia, alla fine di settembre. "La Vendetta" è la riduzione cinematografica di un'opera in versi del commediografo polacco Aleksander Fredro (1793-1876), che può ricordare per certi aspetti le parti più leggere del Romeo e Giulietta di Shakespeare. Polanski interpreta Papkin, un personaggio a metà tra il contafrottole ed il tenero codardo, cimentandosi anche in una stonatissima canzone del repertorio folclorico polacco. Torna quindi davanti alla macchina da presa con il primo regista che lo aveva diretto nel 1955 (aveva recitato nel ruolo di Mundek in "Generazione", film d'esordio di Wajda), e soprattutto torna a girare in Polonia esattamente dopo quaranta anni - il già citato "Coltello nell'acqua" è del 1962 -, dopo cioè che il segretario del partito comunista Gomulka aveva detto a proposito dell'opera d'esordio di Polanski: "Riflette una mentalità che non può trovare posto nel mondo comunista". Si può dire che il regista abbia preso alla lettera le parole di questa sorta di imperatore polacco dell'era sovietica.

Ed ora questo nuovo Oliver Twist non può non fare pensare. Certo, Polanski ha dichiarato di voler realizzare questo nuovo rifacimento da Dickens per avere un film da mostrare ai propri figli, ed anche perché l'ultimo adattamento risale alla fine degli anni '60 (e per di più si trattava di un musical). Eppure questa storia di infanzia negata, con una macchina da presa sempre collocata dal punto di vista del piccolo protagonista, non può non far pensare al passato del regista e ai tanti bambini senza diritti ed "invisibili" che ancora soffrono ad ogni latitudine, spesso non lontani da casa nostra. Certo, dal punto di vista storico non si possono paragonare l'Inghilterra della prima metà dell'800 e la Polonia tra il 1939 ed il 1945, ma le sofferenze dei bambini di fronte all'insensatezza dei grandi invece sì, come ha dimostrato il recente film a episodi "All the invisible children".

E così Roman Polanski dopo averci sorpreso e spaventato in numerose opere tese ad esporre la parte più oscura dell'animo umano, dimostra infine di poter fare i conti con un passato una volta innominato, inconfessabile e comunque doloroso, cosa che non può che suscitare un profondo rispetto.


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