Dopo due commoventi film, di cultura francese, “Angèle e Tony “ e “Il ragazzo con la bicicletta”, con “Uno per tutti” il cinema francese cade clamorosamente e si fa e ci fa male.
Certe condizioni degli immigrati e i sans papier sono odiose e vanno denunciate. Però, o lo fai alla maniera di “Welcome”, gran film con uno splendido Vincent Lindon, o scadi, come nel nostro caso, nell’insopportabile retorica e ideologia dei buoni sentimenti.
La regia si segnala per frenetici e confusi movimenti di macchina , forse per dare quel ritmo che proprio non si trova nella sceneggiatura e per tante scene di giochi infantili buttate lì solo per allungare il brodo di “quanto è bella la prima adolescenza”, scene nelle quali l’illusione di “la poesia del vero” sono assenti..
Rappresentare poi la polizia francese come feroci SS alla ricerca di Anne Frank da avviare al gas è ridicola forzatura.
La sceneggiatura invita a due inquietanti domande:
1) quale miracolo genetico ha permesso la nascita di due piccoli geni da una coppia di fasulli genitori come VBT e marito?
2) cosa ha impedito al giovane Blaise dotato di grande prontezza e facilità verbale, brillante di invenzioni, con capacità organizzative e di leadership non comuni anche nei “grandi”, di diventare almeno presidente della repubblica anziché un dimesso, deluso signore immalinconito dal rimpianto di aver perso settant’anni prima una dodicenne cecena?.
La prova d’ attrice della protagonista VBT è da recita al dopolavoro ferroviario.
La decisione di doppiarsi, considerata l’eccellenza delle nostre doppiatrici, è stata temeraria. Brutte anche le musiche.