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FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > DIES IRAE di Carl Theodor Dreyer   
Autore DIES IRAE di Carl Theodor Dreyer
NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 07-02-2005 18:40  
E rieccomi a parlare ancora di questo grande regista danese, Carl Theodor Dreyer. Ho poco da dire in quanto vado abbastanza di fretta, ma non posso ancora una volta non elogiare le capacità di questo grande cineasta.
Dies Irae è probabilmente un'opera "inferiore" rispetto La Passione di Giovanna D'Arco e Vampyr, ma è sicuramente una delle opere meglio riuscite per quanto riguarda l'espressività attoriale.
Dreyer non dà ai suoi primi piani una funzione puramente descrittiva o psicologica, bensì espressiva, con conseguente attacco emotivo nello spettatore. In Dies Irae c'è un grande uso della fotogenia attoriale, il che conferma ancora una volta non solo la capacità del regista di cogliere appieno ogni possibilità espressiva nel cast, ma anche la pura funzionalità dell'attore come "burattino" in mano all'autore. Così i momenti migliori della pellicola sono i piani sui protagonisti, in quanto il loro volto, la loro espressione, diventa veramente un fattore narrativo vero e proprio, più degli altri movimenti di macchina, che hanno scopo unicamente descrittivo. A creare enfasi e pathos non è la situazione, nè tantomeno i vari raccordi di tempo e di spazio, bensì la macchina da presa che scivola pian piano sul volto dei personaggi, che sono perciò vera e propria chiave della narrazione, fulcro delle sensazioni emotive dell'opera.
Così un'espressione facciale diventa più importante della situazione stessa. Il dramma non è espresso da un personaggio accusato di stregoneria, bensì dalla sua potenzialità espressiva, colta perfettamente dai primissimi piani. Così come nei sintagmi a riaffiorare più di ogni altro sono gli occhi fiammeggianti della protagonista (che vedremo veramente in fiamme solo una volta).
Insomma, grande Dreyer.
Ancora una volta, un grande film.
_________________
eh?

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NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 08-02-2005 00:44  
Un altro fattore interessante che ho notato è il notevole uso del fuori campo. In più scene, a creare emotività, è ciò che non vediamo, piuttosto di ciò che vediamo nel quadro. Questo avviene nella scena del rogo, dove il rogo stesso non viene mai mostrato esplicitamente, ma solo "urlato" dalle voci, sia del personaggio che brucia sul fuoco, sia delle persone che incitano la morte di questa persona accusata di stregoneria.
Sempre parlando di questa ottima scena, a mio parere il migliore dell'opera, è favoloso l'accostamento che Dreyer fa tra il dolore e le urla della processata, con i bambini che intonano il Dies Irae, una canzone (forse) ecclesiastica. Così ecco la fatidica scena: La condannata che viene buttata sul fuoco. Il cambio di quadro. I bambini che cantano il Dies Irae, mentre fuori campo sappiamo e sentiamo la sofferenza della povera donna barbecue. Insomma: macabro e glaciale.
_________________
eh?

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fuzzi5

Reg.: 30 Set 2004
Messaggi: 314
Da: Recco (GE)
Inviato: 08-02-2005 15:37  
un capolavoro, semplicemente un capolavoro!
_________________
non accettate le provocazioni dei perbenismi

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ines49

Reg.: 15 Mag 2004
Messaggi: 376
Da: PADOVA (PD)
Inviato: 08-02-2005 22:51  
Ordet e Dies Irae sono i due film di Dreyer che mi hanno affascinato di più
Dies Irae l'ho visto per la prima volta in tv anni fa ed appena in possesso di un lettore DVD mi sono regalata il dvd. Il titolo è effettivamente un canto religioso che solitamente si canta nelle messe dei defunti e che molte volte viene usato come musica da film.
Con le parole del canto "Giorno dell'ira" inizia il film e già si comprende che assisteremo ad una tragedia.
Bellissima la contrapposizione fra l'umanità e la passione di Anne e la cupa crudeltà dell'ambiente religioso dell'epoca.
Mi comprerò senz'altro anche Ordet

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HenryGheiz

Reg.: 09 Feb 2005
Messaggi: 8
Da: blob (es)
Inviato: 09-02-2005 05:07  
Ecco a voi "Dies irae" di Carl Theodor Dreyer, coacervo di sintagmi filmici che si propone come una fredda parodia dell'inutilita' e del bigottismo della borghesia di una tagliente sintesi sofferente. Viene reso da Dreyer come una raccolta antitetica di sonorita' mute, un calderone anabasico di tematiche trasformate in sonorita' mute.
Osserviamo che in un contesto di smarrimento dovuto a introspezioni epanalettiche probabilmente kafkiane, e godardiane, il protagonista si potrebbe reinventare metadifferentemente, parlando del concetto del bigottismo dell'ancien regime rispetto alle anteintrospezioni epanalettiche di Eisenstein.
Bisogna dire che mi sembra comunque che Durteau non abbia ragione quando dice che il film di Dreyer sia un pot-pourri di precessioni causa-effetto.
Ovviamente, confrontando "Un barbezieux du tonnerre est mort" con "Das UberEier der Doktor Einher", possiamo notare che e' quasi palpabile un fil-rouge di Bildungsroman che divenne in seguito il marchio del Maestro danese.
Credo che Chaldard non sia in torto quando afferma che "Un barbezieux du tonnerre est mort" sia soltanto un esercizio di stile registico tramite un uso di casualita'.
Probabilmente in una Weltanschaaung di sensualita' causata da tematiche trasformate in precessioni causa-effetto sequenziali, e ovviamente godardiane, Dreyer si potrebbe vedere indubbiamente differentemente, in una narrazione pantematica paragonato alle pseudopresenze sceniche di Godard.
Mi trovo d'accordo con Deladloi quando asserisce che il capolavoro di Dreyer sia soltanto un'esibizione registica per mezzo di un uso ridondante di introspezioni epanalettiche.
Certamente, confrontando "Un barbezieux du tonnerre est mort" con "Mon chien tatillon", sempre di Dreyer, ci si accorge che e' presente in "Un barbezieux du tonnerre est mort" una sensazione di ermeneuticita' che pochi altri registi possono offrirci.
Probabilmente in una visione emozionale dovuta a precessioni causa-effetto indubbiamente di dubbio gusto, Dreyer potrebbe essere visto autoconformisticamente salace.
Introspetivamente ci si accorge che in un ambiente di sensualita' derivato da disposizioni luminose ovviamente godardiane, l'interprete potrebbe considerarsi casualdreyerano.
Ritengo che Moidsoi non sia in torto quando dice che il capolavoro di Dreyer sia un calderone di citazioni, e basta.
Senza dubbio, paragonando "Un barbezieux du tonnerre est mort" a "Le fleur du tonnerre est mort", sempre di Dreyer, possiamo notare che il film e' permeato da una sensazione di catarsi che e' diventato un topos filmico.
Certamente ci si accorge che in una circostanza di smarrimento derivata da tematiche trasformate in sequenze di immagini barocche, e di dubbio gusto, il protagonista potrebbe palesarsi conformisticamente eliottiano, raccontando del senso dell'insensatezza della societa' paragonato alle tematiche trasformate in citazioni di Eisenstein.
Personalmente non concordo con Rerdard quando asserisce che il film di Dreyer sia un melting pot di presenze sceniche, e basta.


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Sono una sequenza antitetica di introspezioni prolettiche, anzi prolattiche.

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Michi81

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 3120
Da: Lugano (es)
Inviato: 09-02-2005 08:48  
quote:
In data 2005-02-09 05:07, HenryGheiz scrive:
Personalmente non concordo con Rerdard quando asserisce che il film di Dreyer sia un melting pot di presenze sceniche, e basta.
/b]


E ci mancherebbe!
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"Mi esposa era al fiume, a lavare, un gringo l'aggredì e la voleva.."

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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 09-02-2005 16:39  
Dies Irae, forse insieme a Ordet, segna uno dei picchi più elevati nel percorso dreyeriano di ricerca, sollecitazione, contrasto di antinomie.
Ma Dies Irae, oltre che essere uno dei momenti più elevati della poetica del regista danese, ne è anche il passo più compiuto.
Il tremendo scontro tra oggettività e soggettivo, tra immanenza e trascendenza, tra libertà e sacrificio aleggia su tutta la pellicola, ma ne è magistralmente al di sopra, sfuggente, non categorizzabile. Forse per questo Dreyer si sente in dovere di schematizzarlo al principio e alla fine, impattando e chiudendo la storia allo stesso modo, sostanzialmente: libro miniato, voce narrante (leggente), dies irae (19 terzine attribuibili a Tommaso di Celano, presto entrate nella liturgia dei defunti, rese famose dalla messa di Requiem di Mozart) e l'ombra della croce.
E' proprio nell'elemento sacro per eccellenza che si vede la trasformazione netta, il contrasto lancinante del film. La normale croce latina dell'inizio si trasforma in croce goticheggiante, tumulare, della fine.
Dies irae è il film che forse trae potenza e radici dal vissuto del regista. La latente omossessualità di Dreyer e la sua profonda "affezione" alla chiesa protestante, il legaccio stretto che lo stringeva alla predestinazione, erano un fardello che segnò profondamente il vissuto del regista.
A questo si unisca la situazione politica e sociale di quegli anni, che vedevano, proprio in concomitanza della chiusura del film, l'invasione nazista della Danimarca.
Questi due elementi sono imprescindibili per un'analisi attenta e coerente del film, che si richiama chiaramente ad una visione della vita assai vicina a quella di Kierkegaard.
La mancanza, ed insieme la necessità, di schematismo si riflettono nella dicotomia con la quale Dreyer ci propone e mette in scena i suoi personaggi.
Da una parte l'uomo così com'è, non inscatolabile in qualsivoglia catalogazione, ambiguo non per cattiveria nè per impulso, ma per istinto, istinto di felicità benigno e maligno allo stesso tempo. Dall'altra la necessità storica di piegarsi a stimoli, sollecitazioni, abitudini, costumi. Al fluire naturale (o naturalmente imposto) delle cose, insomma.
E così riemerge la già citata sofferente lotta tra un oggettivo considerato giusto, e una soggettività sofferta e mai risolta.
Tutti i personaggi infatti non sono risolti nè risolutivi. La ricerca del Bene di Absolon si scontra con l'incarnazione del tradimento di questo bene, Anne. E a sua volta, la moglie cede di schianto, tradendo, alla sua ricerca di felicità, pur arrivando a desiderare, almeno in un momento del film, la piena gioia nei binari per lei tracciati.
Nel '43, una tematica del genere poco appiglio poteva avere in un pubblico, al di più interessato all'avanspettacolo o alle commedie, che in effetti bocciò il film, decretando che Dreyer aveva realizzato un film con gli stilemi del muto in un'epoca in cui il cinema muto più non era.
Dreyer, effettivamente, costruisce un film di sguardi, di scena, tenendo salda la mdp, o muovendola quel che basta per seguire la mimica gestuale dei suoi attori.
Tre quattro volte (non sono fresco di visione) azzarda un carrello, per altro non descrittivo, ma coerente all'azione.
Il punto di vista oggettivo al quale Dreyer piega la sua poetica (e la sua vita) prevale nella messa in scena.
La ribellione avviene attraverso la combinazione di prova attoriale e fotografia. Dreyer dà per persa in partenza la battaglia, ma la valorizza, attraverso sottolineature di sguardi e giochi di luci e coni d'ombra quasi irreali. Si sfugge a questo intricato castello di luci ombre e sguardi solo nelle scene all'aperto, paradigma della libertà agognata, di una natura serena e non vincolante. Ma anche in questi passi Dreyer è implacabile. La macchina rimane ferma, e prende addirittura le distanze da un mondo che probabilmente capisce, ma che non riesce ad accettare.
La fissità dello sguardo quasi ideologica, è rigorosamente funzionale all'impianto registico. Così come lo sono una marcata espressività facciale e una fotografia accentuata.
Dies Irae si presenta come un lungo climax, costruito sul gioco tremendo di un dualismo filosofico, morale e religioso, ma anche di messa in scena, si esaurisce nella deflagrazione finale del diverbio tra Absolon e Anne, e la conseguente e consecutiva morte del primo. La postilla finale è solo signum non di un mancato cambiamento, ma di una normalità che si riappropria prepotentemente del suo maestoso e inappellabile incedere.
Un'opera grande e sofferta allo stesso tempo, incastonata in un modo di fare cinema antico e sofferto, che segna al contempo base di partenza e d'arrivo per l'analisi di un autore, del suo vissuto e della sua epoca.
Ma anche chiave interpretativa di una certa idea di cinema e di messa in shena

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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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ines49

Reg.: 15 Mag 2004
Messaggi: 376
Da: PADOVA (PD)
Inviato: 09-02-2005 21:46  
quote:
In data 2005-02-09 05:07, HenryGheiz scrive:
Ecco a voi "Dies irae" di Carl Theodor Dreyer, coacervo di sintagmi filmici che si propone come una fredda parodia dell'inutilita' e del bigottismo della borghesia di una tagliente sintesi sofferente. Viene reso da Dreyer come una raccolta antitetica di sonorita' mute, un calderone anabasico di tematiche trasformate in sonorita' mute.
Osserviamo che in un contesto di smarrimento dovuto a introspezioni epanalettiche probabilmente kafkiane, e godardiane, il protagonista si potrebbe reinventare metadifferentemente, parlando del concetto del bigottismo dell'ancien regime rispetto alle anteintrospezioni epanalettiche di Eisenstein.
Bisogna dire che mi sembra comunque che Durteau non abbia ragione quando dice che il film di Dreyer sia un pot-pourri di precessioni causa-effetto.
Ovviamente, confrontando "Un barbezieux du tonnerre est mort" con "Das UberEier der Doktor Einher", possiamo notare che e' quasi palpabile un fil-rouge di Bildungsroman che divenne in seguito il marchio del Maestro danese.
Credo che Chaldard non sia in torto quando afferma che "Un barbezieux du tonnerre est mort" sia soltanto un esercizio di stile registico tramite un uso di casualita'.
Probabilmente in una Weltanschaaung di sensualita' causata da tematiche trasformate in precessioni causa-effetto sequenziali, e ovviamente godardiane, Dreyer si potrebbe vedere indubbiamente differentemente, in una narrazione pantematica paragonato alle pseudopresenze sceniche di Godard.
Mi trovo d'accordo con Deladloi quando asserisce che il capolavoro di Dreyer sia soltanto un'esibizione registica per mezzo di un uso ridondante di introspezioni epanalettiche.
Certamente, confrontando "Un barbezieux du tonnerre est mort" con "Mon chien tatillon", sempre di Dreyer, ci si accorge che e' presente in "Un barbezieux du tonnerre est mort" una sensazione di ermeneuticita' che pochi altri registi possono offrirci.
Probabilmente in una visione emozionale dovuta a precessioni causa-effetto indubbiamente di dubbio gusto, Dreyer potrebbe essere visto autoconformisticamente salace.
Introspetivamente ci si accorge che in un ambiente di sensualita' derivato da disposizioni luminose ovviamente godardiane, l'interprete potrebbe considerarsi casualdreyerano.
Ritengo che Moidsoi non sia in torto quando dice che il capolavoro di Dreyer sia un calderone di citazioni, e basta.
Senza dubbio, paragonando "Un barbezieux du tonnerre est mort" a "Le fleur du tonnerre est mort", sempre di Dreyer, possiamo notare che il film e' permeato da una sensazione di catarsi che e' diventato un topos filmico.
Certamente ci si accorge che in una circostanza di smarrimento derivata da tematiche trasformate in sequenze di immagini barocche, e di dubbio gusto, il protagonista potrebbe palesarsi conformisticamente eliottiano, raccontando del senso dell'insensatezza della societa' paragonato alle tematiche trasformate in citazioni di Eisenstein.
Personalmente non concordo con Rerdard quando asserisce che il film di Dreyer sia un melting pot di presenze sceniche, e basta.






Brillante e veramente interessante analisi critica, peccato però che "dall'alto" della mia abissale ignoraranza non ci abbia capito
nulla.

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malebolgia

Reg.: 15 Gen 2003
Messaggi: 2665
Da: matelica (MC)
Inviato: 09-02-2005 22:07  
l'unica raccolta antitetica di sonorità mute che io noto è lapalissianamente rappresentata dal epanalettico coacervo di cazzate postate da gheiz.
cordialità.

_________________
l'oligofrenia dovrebbe essere un diritto di tutti

[ Questo messaggio è stato modificato da: malebolgia il 09-02-2005 alle 22:09 ]

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NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 09-02-2005 23:38  
quote:
In data 2005-02-09 22:07, malebolgia scrive:
l'unica raccolta antitetica di sonorità mute che io noto è lapalissianamente rappresentata dal epanalettico coacervo di cazzate postate da gheiz.
cordialità.

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l'oligofrenia dovrebbe essere un diritto di tutti

[ Questo messaggio è stato modificato da: malebolgia il 09-02-2005 alle 22:09 ]



Concordo.
Poi usare termini come "Bildungsroman" è quanto di più sbagliato si possa dire sul Cinema di Dreyer. Fare film di formazione è il minore dei pensieri del regista Danese.
_________________
eh?

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DottorDio

Reg.: 12 Lug 2004
Messaggi: 7645
Da: Abbadia S.S. (SI)
Inviato: 24-06-2005 20:46  
quote:
In data 2005-02-09 22:07, malebolgia scrive:
l'unica raccolta antitetica di sonorità mute che io noto è lapalissianamente rappresentata dal epanalettico coacervo di cazzate postate da gheiz.
cordialità.

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[ Questo messaggio è stato modificato da: malebolgia il 09-02-2005 alle 22:09 ]



Come non essere d'accordo!
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Geppetto è stato l'unico uomo ad aver fatto un figlio con una sega

Attention: Dieu est dans cette boite comme ailleurs et partout!

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