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Chiamami col tuo nome

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Pozzo23 gennaio 2018Voto: 8.0
 

  • Foto dal film Chiamami col tuo nome
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Rielaborando il bellissimo romanzo di André Aciman con il determinante contributo di James Ivory in fase di sceneggiatura e spostando l’azione nella calda estate di un’inedita e sensuale Lombardia dei primi anni Ottanta mentre l’Italia si preparava ad affrontare la nascita del Pentapartito e il mondo dell’arte andava incontro alla tragica scomparsa di Luis Buñuel, Luca Guadagnino riscrive il concetto di pietas regalandoci un gioiello di umanità e tenerezza che scalda il cuore e tocca corde profonde.

Call Me by Your Name è un’opera di una purezza e di una semplicità abbacinanti, un piccolo e magnifico idillio che ci riporta al tempo in cui iniziavano a spuntarci i primi peletti sul viso seguiti dalla timidezza dei primi tormenti amorosi e dalla scoperta dell’eros e delle regole dell’attrazione, turbamenti che ritroviamo intatti nella travolgente e toccante inquietudine dell’Elio di un sensazionale Timothée Chalamet che scopre l’amore con l’arrivo di Oliver, aitante studente americano cui dona l’acqua della vita un monumentale e mai così perfetto Armie Hammer, magnifico e sottovalutato attore capace di veicolare con un semplice sguardo e con la finezza e la profondità di un maestro tutta la ricchezza e la complessità di questo stupefacente essere umano languidamente diviso fra testa e cuore e perennemente combattuto sulla strada da prendere, costantemente indeciso se soffocare i propri desideri o lasciarsi andare seguendo il sentimento e abbracciando la più profonda e autentica parte di sé, edificando e levigando assieme all’amato Elio quello che è forse il più bel ritratto di amanti visto al buio di una sala cinematografica.

Call Me by Your Name è il balsamo rigenerante contro la volgarità e la corruzione morale di questi tempi travagliati, canto poetico sulle insicurezze del primo amore e accorato inno umanista alla vita e all’accettazione dell’altro nella sua alterità e in tutta la sua nutritiva complessità, ode all’amore e all’armonia in tutte le forme e in tutte le cose, nella bellezza della natura e nella dolce e struggente profondità di un abbraccio, nello splendore dei torrenti e dei sentieri illuminati dalle splendide luci di Sayombhu Mukdeeprom e nella purezza dei gesti di un magnifico gruppo d’attori accompagnati dalle eteree note di Sufjan Stevens e sapientemente guidati dalla mano sicura di Guadagnino nel bellissimo racconto di una famiglia esemplare che ha fatto della cultura e della condivisione di essa una regola di vita nella migliore utopia immaginabile, quella di un piccola comunità di cittadini del mondo felicemente aperti al prossimo e alla scoperta di se stessi nell’accettazione dell’altro, nell’amore e nella trasmissione dell’arte e di tutto quello che ci eleva fino a culminare in una delle sequenze più belle e sinceramente toccanti del Cinema degli ultimi anni, quel meraviglioso, necessario, intimo e straziante dialogo fra padre e figlio così pieno di verità e delicatezza da scalfire l’anima e da rimettere in discussione tutto, un momento di grande e struggente bellezza dal quale se ne esce scossi ma al tempo stesso felicemente distesi facendone tesoro per quello che la vita ci serberà in futuro.

Destreggiandosi con ammirevole scioltezza fra Bach a Berlioz passando per Battiato e F.R. David e inquadrando la bellezza di frutti e paesaggi con l’abilità e la sontuosità di un Cézanne, Guadagnino accarezza il lascito di Bertolucci e cita l’Heptaméron di Margherita d'Angoulême ricordandoci quella che è l’essenza del film e la domanda fondamentale che tutti dovremmo porci: meglio parlare o morire? Meglio reprimere i nostri sentimenti per evitare la sofferenza o meglio seguire il nostro cuore e la nostra natura senza cauterizzare il dolore ma abbracciandolo in quanto parte fondamentale della crescita e della vita?

Call Me by Your Name ci parla di questo e di molto altro, ma niente di tutto questo può prescindere dalla profondità di sguardo del suo regista, perché l'eleganza, la purezza e la semplicità con cui Guadagnino filma i suoi interpreti e la natura che li circonda ricorda le più belle opere di Renoir e conferma il magistrale ed elettrizzante talento che immortalò vizi e corpi delle meravigliose e tormentate creature di A Bigger Splash e dei precedenti tasselli della variegata e lussureggiante filmografia di un regista raffinato che ci ribadisce la sua grandezza sondando questa volta i più intimi e delicati dettagli dell’animo umano scrutando volti, mani e piedi che si sfiorano con una grazia e un senso del vero che scalda e devasta il cuore, portandoci alla ferma consapevolezza che difficilmente dimenticheremo le magnifiche e toccanti parole del Mr. Perlman dell’immenso Michael Stuhlbarg, gli occhi gonfi di lacrime del figlio e la saggia e calorosa comprensione della sua famiglia, i sussurri e le confidenze notturne, la rabbia e i sussulti della prima volta, i baci rubati e la quiete prima della tempesta, la profonda dolcezza e le timide carezze di due corpi e due anime destinate ad amarsi per sempre.

Call Me by Your Name è un glorioso trionfo di puro Cinema, una pellicola preziosa e importante che apre alla vita arrivando leggiadra all’essenza dell’anima riportandoci alla mente i rimorsi, i rimpianti, le occasioni mancate, i ricordi sbiaditi e le strade perdute in cui tutti ci siamo imbattuti o comunque ci imbatteremo, invitandoci a riflettere su quanto sia bella e necessaria la diversità e su quanto sia fondamentale allargare gli orizzonti seguendo fino in fondo le nostre emozioni e tramandando il nostro lascito con dolcezza e discrezione ai nostri figli e a chi verrà dopo di loro.

E di questi tempi, davvero non è poco.


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